domenica 23 dicembre 2007

Voyager en Train



Salgo sul treno,
ormai gli anni iniziano a farsi sentire..

Cerco la mia carrozza
numero 12
posto 26.

Per fortuna ho trovato un ragazzo che mi accompagna,
ormai la forza nelle gambe è poca
e devo raggiungere i miei figli,
la mia nipotina fa 3 anni e sono sua nonna.

Non posso mancare per niente al mondo.

Ormai erano anni che non prendevo un treno.
L'ultima volta era proprio quando è nata;
la vecchiaia non mi consente più di fare molti viaggi,
soprattutto lunghi e poi vivere da sola non e facile.

Mi aiutano a salire sul treno,
trovo il mio posto dopo aver chiesto a tutti,
sono un pò rincoglionita, colpa dell'età.

Mi siedo.

Al mio fianco c'è un ragazzo;
chiedo se gli da fastidio se mi siedo al suo posto.

Mi piace guardare il paesaggio che scorre.

.... Lascio sedere la signora vicino al finestrino.
I segni dell'età solcano il suo viso.
Le rughe si sono impossessate di quella pelle di porcellana.
Ma non sembra esserne infastidita.

Sembra assecondare il passare del tempo,
quasi ne fosse contenta.

Mi domando come sarò io alla sua età.
Rinnego subito qualsiasi pensiero.
Inutile porsi domande troppo difficili.
Il mio motto preferito è sempre stato vivere la vita giorno per giorno, senza guardare al domani, ed è ciò che sto facendo.

Ascolto musica, mi perdo nello sguardo dei passeggeri, cerco qualcosa da fare...
Ma mi sto annoiando come non mai.
Odio stare fermo.
Odio stare seduto in uno spazio di venti centimetri.

Ad un certo punto, dopo ore, mi accorgo che la signora non s' è più mossa.

Ha uno sguardo perso verso l'orizzonte,
che scorre veloce.

I suoi occhi sono vividi.
Quelli non hanno i segni dell'età.
Quelli sono candidi come non mai.

La fisso per qualche istante; vorrei essere capace anche io di stare fermo per così tanto tempo.

Dopo ore, di immobilità assoluta,
gira il suo viso verso di me,
sorridendomi.

Semplicemente.


Mi vergogno un po’,
questo ragazzo mi manderà a fanculo.

Una vecchia Arterio sclerotica,
ma devo prendere le mie pillole
e mi serve un pò d'acqua.

"mi scusi giovanotto"
"avrebbe un pò d'acqua"

"no signora mi dispiace"

vedo il signore davanti a me,
che aveva assistito alla scena e mi dice di averla lui.
Prendo come solito le mie pillole per il cuore.
Orami è vecchio.
Non fa più bene il suo dovere,
il dolore l' hanno segnato.
La morte di mio marito su tutte.

Chiedo al cuore di vivere per se,
di non guardare più l'anima,
di non parlare più con il cervello,
di fare l'organo e niente più.

Batte per vivere e non più per amare.



Chiudo gli occhi e mi lascio pervadere dalla musica.
La signora continua a fissarmi.

Ed inizia ad infastidirmi il suo sguardo.
Anche se i suoi occhi sono cosi candidi che non possono semplicemente dare fastidio.
Ma non sono abituato a queste situazioni, e la noia di questo viaggio si sta facendo parecchio sentire.

Ognuno viaggia con i suoi pensieri.
Viaggia verso la sua meta.

Quella meta che racchiude sogni e aspettative o semplicemente una routine quotidiana.
Per ognuno la meta sarà diversa.
Con sfumature uniche.

Mi domando la signora dove stia andando.
Non sembra essere preoccupata da niente,
quindi probabilmente non è una cosa urgente.

Sembra serena e tranquilla.
Sembra pervasa da una calma interiore.
Classica delle persone anziane

Inizio a parlare col signore d'avanti a me,
mi chiede dove vado.

Le parlo della piccola che fa il compleanno.
Vede la sua nonnina cosi di rado,
che quando vado mi fa tante feste.

Sempre sorridente.

Invece il ragazzo al mio fianco,
ogni tanto lo guardo per vedere cosa fa,
per capire cosa pensa.

Lo vedo con quelle cose nelle orecchie.
Orami tutti i giovani le usano….

Tutti immersi nei loro mondi,
nei loro pensieri.

Prima la musica era qualcosa di aggregazione.
Ora è qualcosa che deve spegnere la mente, per non farla urlare.

Tutti i programmi che vedo,
dicono che i giovani sono diversi da noi, tutti chiusi,
che cercano sempre qualcosa di strano di diverso,
qualcosa che li faccia divertire,
ma alla fine il vero divertimento
quello che ti fa vivere è l'Amore.

La signora legge composta un giornale.
Sfoglia le pagine lentamente.
Forse non legge neppure.

Tiene il giornale distante da lei,
troppo distante sia per leggere,
che per vedere.


Un altro modo isterico per ammazzare la noia.
Sembra felice della sua famiglia.
Sembra felice di ciò che è stata in grado di costruire.
Sembra felice della sua vita,
anche se è sulla via del tramonto.

Sembra serenamente felice.

Forse ha semplicemente sopravvissuto.
Ci sono miliardi di persone che lo fanno.

Moltissime delle persone che dicono di vivere,
in realtà sopravvivono.

Si ostinano a trovare uno spazio per loro in questo mondo,
quando uno spazio non c'è.

Semplicemente si attaccano a giorni sempre uguali,
convincendosi di riuscire prima o poi a vivere.
Io non la penso cosi.
O uno vive da sempre. O uno sopravvive da sempre.
Non si ammettendo persone neutre.
Non si ammettono errori di percorso.

Tento di capire la signora fra quale delle due categorie sta.
E la mia sfacciataggine arriva a portarmi verso quella domanda.
Che le rivolgo con una tranquillità invidiabile,
ad una signora di cui non mi importa niente,
e che per di più è totalmente estranea.

"ma lei ha vissuto o sopravvissuto?"

Caro ragazzo,
io ho vissuto la guerra
il dolore di vedere le persone care uccise da una bomba,
rimasta orfana a sei anni,
cresciuta da un soldato che mi aveva soccorso,
e tenuto con se.

Ho avuto la fortuna di trovare un uomo che mi amava per quello che ero,
pregi e difetti, e per lui ho fatto e lasciato tutto.

Ho vissuto perché potevo solo fare quello.

Mi guarda quasi come se avesse visto un aliena,
o come se si fosse pentito di avermi fatto quella domanda.
Non si aspettava quelle parole.

Sento l'annuncio della prossima stazione,
è la mia.

Chiedo al ragazzo di farmi alzare che devo scendere,
per andare dalla mia nipotina.


Quando ha iniziato a parlare della guerra.
Mi sono pentito di averle fatto quella domanda.
Ho pensato che ora la dovevo stare ad ascoltare per delle ore intere.

Invece parlava con una voce cantilenante,
bassa e sinuosa.

Sembrava un sottofondo naturale,
nulla che rovinasse il silenzio di pochi istanti prima.

Alla fine del suo racconto,
il mio sguardo era perso verso un punto indefinito.

Sembrava essere convita di aver vissuto.
E probabilmente avrei dovuto crederci.

Non avevo motivi per non farlo.
ma non ci riuscivo.

C'era qualcosa nelle sue parole che copriva altro.

Ripeteva di aver vissuto per coprire la realtà.

Mi alzo per farla passare,
mi da un ultimo sguardo,
accompagnato dal un sorriso composto e rassicurante.
sorrido anche io. Come se non potessi fare altrimenti.

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