domenica 23 dicembre 2007

Baby Borderline




L
ilalh amava guardare quel mare incantato.
Apparentemente calmo come un cielo senza nubi.

Sfiorare quell'acqua sentendone il suo sapore.
Immaginando il suo profumo.
Immaginando ogni goccia di quel paradiso solo per lei.

E amava sedersi così. Lontano da tutti. Da sola.
Amava quei mesi. In cui l'oceano era solo per lei.

In cui nessuno ci andava perché faceva troppo freddo.
Perchè l'aria era gelida, come l'acqua sulla pelle.

Ma Lilalh non lo sentiva il freddo.
Non lo percepiva.

Lei adorava nuotare in quella corrente di pace.
Da sola.
Unendosi a quel mare infinito.

Solo allora si sentiva veramente lei.
Solo allora sapeva chi fosse.







Sentiva la sabbia sotto i piedi.
Sembrava camminare in una valle di nuvole.


Niente aveva consistenza,
il freddo l'avvolgeva,
ma non la faceva tremare.

Uscì dall'acqua come la venere,
disegnata da Michelangelo.

Era talmente bagnata,
che ormai niente del suo corpo era asciutto.

Lilalh era una ragazza con problemi mentali,
ma non era pazza.


Semplicemente viveva in un mondo suo.
Fatto forse di nuvole al posto dell'acqua.

Le piaceva immergersi nell'acqua,
come qualcosa più forte di lei.

Non voleva uccidersi.
Semplicemente provava pace nel farlo.

È da quando è nata che la controllo,
cerco di essere attento a lei,
curarla, cercare di evitare che si faccia del male.

Lei vive in mondi a noi paralleli,
che non capiamo,
imprigionata in un mondo non suo,
forse in un corpo non suo ,
ma la verità è che è cosi,
e cosi le darò il mio amore di padre.








Lilalh amava il suo contatto.
Sentire che lui l'abbracciava proteggendola,
appena lei riemergeva dalla sua natura,
dalla sua terra,
dal suo paradiso.

E lui c'era sempre...pronto con un sorriso.
Un sorriso che amava.
Un sorriso da cui non poteva separarsene.
Mai più.

Tra loro niente aveva un senso comune.
Niente era reale.
La realtà distruggeva Lilalh,
e lei sapeva di non farne parte.

Lei con la sua mente contorta ed incompresa.
Lei con quel suo cervello studiato dai migliori specialisti.

Ma lei sapeva cosa aveva.
Non aveva un problema reale.
Niente che le macchine più tecnologiche e all'avanguardia potessero scoprire.

Lei l' ha sempre saputo.
Al di la di tutti i pareri medici.
Al di la delle parole.
Al di la di qualsiasi terapia.

Lei non aveva bisogno di niente di tutto questo,
nulla la cambiava,
nulla la scalfiva,
nulla sedava il suo spirito selvaggio.

L'unica cosa di cui Lilalh non poteva fare a meno era lui.

Lui & il suo oceano.

Quei pochi istanti erano gli unici in grado di rubargli un sorriso.

Lilalh non sorrideva mai.
Parlava raramente. E non sorrideva mai.


Solo quando stava in mezzo a quell'oceano di cui non si vedeva la fine.
Dove il suo sguardo poteva perdersi e volare.

Solo allora lei sorrideva.


Un altra cosa che faceva metodicamente Lilalh,
era portare una rosa rossa sulla tomba di sua madre,
andava ogni settimana, alla stessa ora,
dello stesso giorno della settimana,
con la pioggia o con il sole,
con il vento o con la tempesta.

Era quasi una missione,
portare quel fiore, lì.


Metteva il fiore di fronte a quella foto,

l’ accarezzava,
come se desse una carezza a lei,
e andava via,
senza parole.

Non dava segni di niente, nessuna emozione.


Ci sono state volte che non lo seguita,
che avevo fiducia in lei,
che sarebbe tornata,
e quelle volte quando lo fatto.

Tornava con un sorriso, quasi accennato.


Come un grazie della fiducia,
come un grazie di non trattarla come qualcosa di rotto,
di difettoso,
non normale,
ma semplicemente come qualcosa di raro,
qualcosa che non si trova,
qualcosa che anche essendo imperfetta è unica.

Non una fotocopia di mille persone e pensieri, ma solo e soltanto lei.



Non ricordo quando lui sia entrato nella mia vita.
Forse voleva essere solo il mio salvatore.
Come miliardi ce ne sono stati.

Pensavo fosse un medico.
Uno con quei camici bianchi e un sorriso falso.

I ricordi sono sfumati.
E poi improvvisamente si sono spenti.

Io non ho ricordi.

Li ho cercati miliardi di volte.
Sforzandomi di trovarli nelle notti senza sonno.
Sforzandomi di cercarli in mezzo alle scatole dei miei pensieri.


Ma io non ricordo quando lui è entrato nella mia vita.
Forse semplicemente c'è sempre stato.
Come un'anima buona.
Come un'anima che mi salva.

Molte persone hanno tentato di classificarlo.
Con una parola di cui io non conosco il significato.
Non lo capisco. Mi suona vuota ed imperfetta.

Troppo lontana e formale.
Ho ripetuto questa parola. Padre. A bassa voce, più volte.

Cercando di amarla, almeno quanto io amo lui.

Ma suona vuota nel mio cervello & nel mio cuore.
Allora. Anche se conosco il suo nome.
Per me lui non ha nomi.

Non ne ha nessuno & ne ha migliaia.
Lui rispecchia tutto & niente.
Lui è tutto ciò che conosco del mondo.







I giorni a volte erano scanditi, prefabbricati,
a volte erano indistinguibili.

Si sapeva già cosa faceva,
era precisa, non falliva.

Precisa come un orologio che non si scarica mai.
Cosi attenta a tutto.

Se qualcosa non andava, ne sentiva l'odore,
lo sentiva sulla pelle.

E ti buttava addosso quello sguardo di cui avevo paura,
non mi aveva fatto mai del male
ma quando mi guardava con quegli occhi,
avevo paura.


Brividi sulla pelle.


L’ ho chiamata come un fiore .
Un fiore insanguinato,
che a prima vista non sembra bello,
anzi tutt’altro.

In mezzo ad un mazzo di rose perfette
quel fiore sembrava guastare il mondo di quelle rose.

Lei era così,
aveva la sua monotonia,
ma distruggeva quella degli altri.

Lei non aveva paura,
non sapeva cosa significava.

Faceva quello che doveva fare a qualsiasi costo;
era come il tempo,
nessuno la poteva controllare.

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